Inizia un viaggio, confinato nello spazio e nella storia, ma che si dilata nella concezione religiosa e metafisica, nel giudizio fuori dal tempo e senz'appello, del carismatico protagonista.
IN NOME DI DIO
C’incamminammo dentro il buco nero.
I’ lo seguivo passo dopo passo,
ma non capivo ancor s ‘ei fusse vero,
ché non facea romor calcando ‘l sasso.
Ma quando un fioco lume appeso al muro
gittò furtiva l ‘ombra verso il basso
ch’ei fusse in carne ed ossa fui sicuro
e sollevommi dal maggior timore
d’aver dinnanzi a me uno spirto puro.
M’avea rapito invero lo stupore
in quella circostanza unica e rara
d’aver come compagno e da dottore
il fine ingegno che dalla sua Ferrara
venne a Fiorenza e vi trovò la morte. (1)
La breve vita sua fu intensa e amara,
di papa Borgia sfidò potere e corte,
perse, però con dignità e coraggio
seppe affrontare la sua mala sorte. (2)
La Signoria lo prese come ostaggio
e i preti sentenziaron la condanna
che fu eseguita un triste dì di maggio.
“Con precetti e anatemi, il clero inganna
masse ignoranti fiacche e credulone
cui il ben dell’intelletto ognor s’appanna.
Stanno seduti in comode poltrone
ipocriti, corrotti, lussuriosi,
brandiscon croci, infliggono corone
irte di spine a’ semplici e a’ virtuosi.
Ma stanno viceversa molto attenti,
e ciò li rende summamente odiosi,
a non turbar li sonni de’ potenti:
poi che son fatti di medesma mota (3)
con questi sono sempre assai indulgenti.
Offeser le mie carni con la ruota
e corda e frusta ed ogni punizione (4)
sperando che qualcosa che percuota
potesse alfin piegar la mia ragione.
Canaglie! ma nel giorno del giudizio
su lor cadrà la mia maledizione!”
Così parlava del suo sacrifizio
così scagliava il suo anatema in cielo
per quel che gli avea fatto il Sant’Uffizio. (5)
D’un tratto mi sorprese un grande gelo
che penetrava dentro fino all’ossa:
facendo uno pensiero parallelo,
quello ch’ei sentirebbe in quella fossa
che tristamente a lui venne negata
perchè nessuno piangere lo possa. (6)
S’era fermato accanto a una vetrata
poi, fatto con la mano un largo giro,
puntò dicendo: “È là che venne issata
la nera forca che mi levò il respiro.
Poscia che le mie membra furon spente
lasciando in aria l’ultimo sospiro
vennero date al rogo prontamente,
incenerite e poi gittate in Arno
per cancellarle alfin etternamente.
Ma tutto ciò venne compiuto indarno (7)
ché la memoria mia e de’ due compagni
Domenico e Silvestro, che passarno
con me l’istessa pena senza lagni, (8)
è viva ancor nel cor de’ giusti e spero
che sempre e sempre ancora li accompagni
insino a che non sia lo mondo intero
a quel fine celeste conformato
pel qual mi vedi qual s’io fusse vero”. (9)
Rimasi qualche istante senza fiato
poi mi ripresi e, fattomi coraggio,
gli dissi: “O frate, tu se’ condannato
a viver dopo morto qual miraggio,
forse in eterno: se l’esser umano
ha nella sua natura esser malvagio! (10)
Ma dimmi, poi che ciò mi torna strano,
tu pur volesti un rogo. E mille cose
e tutto ciò che reputavi vano
desti alle fiamme: stoffe assai preziose,
vesti, monili, arazzi, ogni ornamento,
tele dipinte pur meravigliose,
opere d’arte del Rinascimento!
Dimmi, a che pro? Perché tu e i confratelli
lasciaste ordire quell’oscuro evento?” (11)
... Quali cavalli che escon da’ cancelli
poi che son stati a lungo ne’ recinti,
portate dalla voce come augelli
che volan fitti, su, dall’aere spinti,
uscir dalla sua bocca le parole
come in quel tempo in cui teneano avvinti. (12)
E disse, e disse ancor, che sotto il sole
tutte nascono uguali le creature;
se quella umana esser malvagia suole
sopra tutt’altre innocenti e pure
non è per la natura del creato
ma è l’uom che si è corrotto e con la scure
ciò ch’è bello dal buono ha separato:
il dono ha usato mal dell’intelletto
e in questo sta l’essenza del peccato. (13)
Disse: “Per tal ragion trova diletto
per fino nel far male al suo fratello
e si circonda di qualunque oggetto
che della sua potenza sia il suggello.
Per ciò fu arsa quella paccottiglia
e mai, mai! foco fu più giusto e bello.
Ma vedo che il pensiero ancor ti acciglia.
Sappi che mai nessuno fu costretto
poi che la prepotenza non mi è figlia.
Qualunque uomo o donna che nel petto
la colpa avea d’amare cose vane,
lorde del sangue e del sudor negletto
di chi fatte le avea per poco pane, (14)
portò liberamente alla catasta
le cose sue che giudicò pagane.
Or vedo che il racconto mio ti basta.
Del clero i’ t’ho già detto, ma vien meco:
ti vo’ parlare ancor di un’altra casta,
di chi al dolor del mondo è sordo e cieco”.
© Muso Rosso, 23 maggio 2014
Note:
1) Savonarola nacque a Ferrara nel 1452. Dopo una prima parentesi fiorentina dal 1482 al 1487, tornò a Firenze nel 1490. Qui venne giustiziato il 23 maggio del 1498, all’età di 46 anni.
2) Savonarola fu uno strenuo oppositore del Papa Borgia, salito al trono col nome di Alessandro VI. Gli rimproverava la vita personale dissoluta, condotta nel lusso e nell’esercizio senza scrupoli del potere, e la condizione generale della Chiesa che rispecchiava gli stessi valori a tutti i livelli. Da tale situazione la comunità cattolica avrebbe potuto risollevarsi solo attraverso un radicale ravvedimento che avrebbe trovato nella città di Firenze la culla e il fulcro di un’era nuova.
3) Mota ha il significato di “fango”. Prelati e uomini di potere sono fatti della stessa mota. Si sottolinea qui indirettamente la differenza in senso spregiativo rispetto all’argilla, il materiale impiegato nella creazione divina.
4) Prima di essere giustiziato, Savonarola fu ripetutamente torturato per estorcergli l’ammissione di essere un eretico. La corda e la ruota erano due fra i più crudeli strumenti di tortura utilizzati all’epoca.
5) In realtà, il "Sant'Uffizio" nacque ufficialmente con questo nome solo alcuni anni dopo la morte di Savonarola. Tuttavia, sia lo spirito che le "tecniche" erano già ampiamente in uso da molto tempo.
6) Tutto quello che rimase del rogo fu accuratamente raccolto e “tristamente” (perfidamente) gettato nelle acque del fiume, affinché di Savonarola non rimanesse il benché minimo segno che potesse costituire una reliquia per i suoi tanti seguaci e sostenitori. Si dice che tuttavia fu raccolto un dito del frate, attualmente custodito presso il convento di San Vincenzo nella città di Prato.
7) Indarno=invano.
8) La stessa sorte di Savonarola toccò a due suoi fedeli confratelli, di nome Domenico e Silvestro. Anch’essi affrontarono la morte compostamente, senza invocazioni e lamenti.
9) La memoria del suo sacrificio, e dei due compagni - afferma il frate - sarà sempre viva, fin quando non avverrà la rigenerazione morale della Chiesa e dell’intero popolo, in accordo con quel fine “superiore” che gli consente di continuare a rivelarsi ancora come figura fisicamente concreta.
10) Se l’uomo fosse per sua natura malvagio, l’agognato riscatto morale potrebbe tuttavia non avvenire mai e quella forma di esistenza sospesa tra il vero e il nulla (come un “miraggio”) potrebbe risolversi in una eterna ed inutile condanna.
11) Il riferimento è al “falò delle vanità”. Il 7 febbraio del 1497 i seguaci di Savonarola organizzarono un falò col quale vennero dati alle fiamme numerosi oggetti ritenuti tanto preziosi quanto inutili (le “vanità” appunto). Tra le molte opere d’arte, anche alcuni dipinti di Botticelli portati personalmente dallo stesso pittore.
12) Impetuose come cavalli che si affollano all’uscita dai recinti, sostenute dalla voce come stormi di uccelli spinti dall’aria verso il cielo, le sue parole risuonano con la stessa forza che ebbero un tempo nelle sue avvincenti predicazioni.
13) La natura dell’uomo non è diversa “ab origine” da quella delle altre creature, che sono “innocenti e pure”: il suo esser malvagio è frutto unicamente della sua responsabilità. Facendo un uso distorto della sua intelligenza, l’uomo ha separato il bello dal buono. Mentre per tutte le altre creature non vi è differenza alcuna fra questi due concetti e il bello coincide direttamente e semplicemente con “ciò che fa bene”, l’uomo spesso concepisce la bellezza come elemento separato dal bene e, dal versante opposto, può trarre soddisfazione perfino da orribili cose. Così, se l’animale può essere crudele per necessità, l’uomo può giungere ad essere malvagio “per diletto”. In questo consiste la perdita dell’innocenza e l’essenza del peccato.
14) Gli oggetti che costituiscono “vanità”, pura ostentazione di potere o ricchezza, sono sporchi del sangue e del sudore negletto (ignorato, disprezzato) di coloro che li hanno costruiti in cambio di un misero compenso, spesso appena sufficiente per poter sopravvivere.
HIERONYMUS - CANTO I : INCONTRO
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